Editoriale di Andrea Avato
Potremmo partire dall’inizio, dalla lancia che il Bricceca ha ripreso al volo dopo averla appoggiata sulla V, e dire che probabilmente era destino. Oppure potremmo partire dalla fine, dal cinque e cinque dieci che è stato come tornare alle care, vecchie abitudini, e pensare che bisognava soltanto spengere e riaccendere, come capita a tutti. Ci siamo dunque preoccupati senza motivo. Di chiavi di lettura ce ne sono tante. E’ fascinosa anche quella fatalista: quando questo quartiere arriva sul ciglio del burrone, quando una Giostra sgonfia farebbe precipitare le cose, quando dietro l’angolo fa capolino la crisi, Sant’Andrea reagisce. Riprende slancio. Risorge. Ieri ho guardato Stefano Cherici dietro le logge, prima della carriera. Concentrato, un po’ teso. Giù al pozzo ha portato il cavallo e tutte le chiacchiere delle scorse settimane, che anche se uno s’impone di non darci peso, le sente lo stesso: ”è andato, va sceso, non rischia, non vince (più)”. E ho immaginato che quella lancia doveva pesare un quintale. Lui invece l’ha stesa, l’ha messa sul tondo rosso e porca miseria Stefano, hai fatto una roba da uno con le palle! E’ sempre denso il Saracino di Sant’Andrea. Una volta perdemmo con V e V, altre volte abbiamo vinto di millimetri. Non si sa mai cosa può succedere. Ho guardato Enrico Vedovini mentre saliva a bordo di Peter Pan. Addosso il costume con la croce e la zavorra dei dubbi portati dal venticello: ”è andato, va pensionato, è vecchio, non vince (più)”. Invece è venuto su in scioltezza e ha chiuso la Giostra con tre carriere d’anticipo. Di classe, Enrico, di classe. La lancia d’oro numero 36 mi piace raccontarla così. Orgoglio, capacità, applicazione, forza d’animo, coraggio. Sono emozioni forti queste, sensazioni seducenti che la gente si porta dietro, dentro per la vita. La vittoria più bella è sempre l’ultima, si dice banalizzando. Ma stavolta è vero veramente.